Il senso delle divisioni nell’unità d’intenti: il potere ha sempre un prezzo

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Amati Lettori,

questi giorni che precedono il Natale continuano ad essere dominati dalla questione di Gerusalemme: città santa anche per l’Ebraismo e l’Islamismo, oltre che per il Cristianesimo. Dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele da parte degli Stati Uniti d’America (argomento già ampiamente trattato nella scorsa puntata di questa rubrica), il presidente turco Recep Taypp Erdogan, che fin dalle prime ore si era dimostrato acerrimo oppositore di Donald Trump per la sua decisione d’azione in Medio Oriente, ha dichiarato di voler aprire un’ambasciata turca a “Gerusalemme Est”.

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“Se Dio vuole – ha riferito il leader turco durante un comizio nella città di Karaman, nel sud-ovest dell’Anatolia – è vicino il giorno in cui ufficialmente, con il suo permesso, apriremo la nostra ambasciata lì. Il vertice per la Cooperazione dei Paesi Islamici ha già riconosciuto Gerusalemme Est come capitale della Palestina, tuttavia non abbiamo potuto aprire la nostra ambasciata perché Gerusalemme è occupata dalle forze israeliane”.

Se è vero, come abbiamo già detto precedentemente, che il Medio Oriente è lo spazio scenico entro cui si giocano le alleanze e i rapporti di forza per il dominio del potere, ecco che la Turchia dimostra di non voler e non poter rinunciare al suo “pezzo” d’influenza nell’ordine del mondo. Va altresì ricordato che per la sua stessa posizione geografica è centrale sia per l’Europa sia per l’Asia ed è la “porta” di accesso alla polveriera mediorientale. Dal punto di vista diplomatico, nell’ambito della cooperazione internazionale e regionale, la Turchia è un membro attivo dell’ONU, della NATO e del Commitee of Expterts on Terrorism of the Council of Europe, ed Ankara intrattiene cooperazioni bilaterali con più di 70 Paesi. Essendo tuttavia trattata con “diffidenza” da parte delle potenze occidentali, si sta avvicinando sempre più ad Oriente in termini d’interessi e alleanze.

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D’altro canto, se di Oriente – e quindi di Russia – si parla, va anche sottolineato come i rapporti con gli Stati Uniti d’America (tradizionalmente considerati “Occidente”), si stiano infittendo sempre di più, con episodi concreti che vanno al di là del presunto “Russiagate”. I rispettivi leader, Putin e Trump, si sono sentiti telefonicamente due volte nel giro di tre giorni. Giovedì 14 i due leader hanno parlato affrontando la questione dei rapporti bilaterali tra USA e Russia, in merito alle crescenti tensioni nella penisola coreana. Tali tensioni sarebbero dovute ai continui test missilistici effettuati da Pyongyang e alle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Nord, l’ultima delle quali è iniziata l’11 Dicembre, con la partecipazione del Giappone. I due Paesi concordano sul fatto che la crisi nordcoreana debba essere risolta, ma mentre Trump sostiene che le azioni provocatorie di Pyongyang siano la causa delle tensioni, la Russia ritiene che sia necessario raggiungere un punto di incontro per dialogare.

Nella seconda telefonata il presidente russo ha ringraziato Trump poiché grazie alle informazioni arrivate dalla CIA è stato possibile sventare un attentato terroristico a San Pietroburgo, e ha precisato che “se le agenzie di intelligence russe riceveranno informazioni su potenziali minacce terroristiche contro gli Stati Uniti e i suoi cittadini le passeranno immediatamente alle loro controparti americane attraverso i loro canali di comunicazione”. Ad avviso dei due presidenti, quanto accaduto domenica, costituisce un esempio di “un’ottima collaborazione” tra i due Paesi. Si tratta di una conferma, la prima da parte russa, che le intelligence dei due Paesi continuano a cooperare su terreni d’interessi comuni.

È dunque sotto gli occhi di tutti come i potenti dimostrino pubblicamente una volontà di accordo “per il bene comune” e la “sicurezza globale”, mentre poi – nella quotidianità delle scelte – ciascuno pensi a coltivare egoisticamente l’orticello delle logiche di potere trattando il popolo come ammasso di pedine da spostare e condizionare ad hoc in base alle necessità che si vengono a manifestare: basti guardare la questione di Gerusalemme capitale, la sconfitta dell’ISIS in Siria o la partecipazione ritrattata su accordi internazionali.

Le parole e gli apprezzamenti reciproci sono importanti e significativi, ma poi bisogna guardare anche e soprattutto la realtà dei fatti per capire se c’è una reale corrispondenza o se veniamo di volta in volta abbindolati e per quale motivo: quale altro interesse può celarsi dietro le scelte se non il potere? Tuttavia, è bene che lo ricordiamo: il potere ha sempre un prezzo.

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Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)