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Dopo nove giorni di combattimenti a Tripoli, almeno 60 morti e oltre 160 feriti, le milizie libiche hanno raggiunto un accordo per deporre le armi. Una tregua – che ora bisognerà capire quanto solida – raggiunta al tavolo convocato dall’ONU intorno al quale si sono seduti tutti i gruppi armati coinvolti nel conflitto. L’intesa è stata accolta con sollievo dall’Italia, che tramite il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ha ribadito ancora una volta il suo sostegno all’esecutivo del premier Faez Al Serraj.
Lo stato di emergenza
Il Consiglio presidenziale libico di Tripoli ha dichiarato lo stato di emergenza, avvertendo le parti coinvolte che la violenza nell’area della capitale non rimarrà impunita: “Tutti gli attori coinvolti devono rispettare la tregua che è stata concordata sotto l’auspicio della missione dell’ONU in Libia”, recita il comunicato del Consiglio presidenziale, rilasciato la sera di domenica 2 Settembre, in cui viene aggiunto che, date le condizioni di insicurezza, lo stato di emergenza riguarda la capitale e le aree circostanti, al fine di proteggere le vite dei cittadini e le loro proprietà.
La condanna dell’ONU
Nel frattempo, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha condannato gli scontri di Tripoli, in particolare “l’uso indiscriminato della forza da parte dei gruppi armati che ha causato la morte di civili, tra cui bambini”. La dichiarazione rilasciata dalla missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia esorta le parti coinvolte a all’immediata sospensione delle ostilità concedere l’invio di aiuti umanitari a coloro che necessitano assistenza. Inoltre, il comunicato rende noto che il rappresentante speciale dell’ONU in Libia, Ghassam Salame, è disponibile a collaborare con le parti coinvolte negli scontri per trovare un accordo che ponga fine alle violenze, a beneficio dei cittadini libici.
La situazione in Libia
La Libia versa in uno stato di caos dal Febbraio 2011, anno dello scoppio della rivoluzione. Successivamente, nonostante l’intervento della NATO e il rovesciamento di Gheddafi, lo Stato nordafricano non è mai riuscito ad effettuare una transizione democratica, con il risultato che, ancora oggi, il potere politico è diviso in due governi: il primo insediato a Tripoli e appoggiato dall’ONU e dall’Italia, e il secondo insediato a Tobruk e sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. L’assenza di una guida unitaria del Paese, in grado di controllare efficacemente tutto il territorio nazionale ed i suoi confini, ha fatto sì che i trafficanti di esseri umani, i gruppi armati ed i terroristi portassero avanti indisturbati le proprie attività a danno dei migranti, che sono vittima di abusi continui, venendo catturati per poi essere costretti ai lavori forzati.
L’evasione dal carcere
Circa 400 prigionieri sono fuggiti dalla prigione di Ain Zara a Tripoli, domenica 2 Settembre, approfittando del caos che regna nella capitale libica a causa dei combattimenti tra gruppi armati rivali. È quanto riferito da un ufficiale giudiziario libico, che, sotto condizione di anonimato, ha confermato un’analoga dichiarazione precedentemente rilasciata dalla polizia giudiziaria libica sui social media. In particolare, il funzionario ha informato che le guardie non sono state in grado di impedire la fuga dei detenuti che sono evasi forzando le porte della prigione. L’ufficiale giudiziario, tuttavia, non è stato in grado di fornire ulteriori dettagli.
L’incontro per la sicurezza
Le Nazioni Unite, intanto, avevano invitato le parti in guerra a incontrarsi martedì 4 Settembre a mezzogiorno per un “dialogo urgente sulla situazione della sicurezza” che ponga fine ai combattimenti.
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)