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Il Parlamento iraniano si è riunito nella giornata di domenica a porte chiuse, per discutere delle proteste degli ultimi giorni in alcune città del Paese. I parlamentari hanno sentito il ministro dell’Interno Abdolrahmani Rahmani Fazli, il ministro dell’Intelligence Mahmoud Alavi e il segretario del Consiglio nazionale supremo di sicurezza Ali Shamkhani. Alcuni hanno espresso preoccupazione per i controlli su internet messi in atto durante i disordini, compreso il divieto della più popolare app di messaggistica in Iran, Telegram, che gli inquirenti hanno detto che erano stati utilizzati per incitare alla violenza: “Il Parlamento non è favorevole a mantenere il filtro di Telegram, ma deve impegnarsi a non essere usato come strumento dai nemici del popolo iraniano”, ha detto Behrouz Nemati, portavoce del Consiglio di presidenza del Parlamento.
Le proteste antigovernative sono iniziate lo scorso 28 Dicembre principalmente per questioni economiche, ma sono precipitate fuori controllo lasciando oltre venti morti e centinaia di arresti. Fra questi anche l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, arrestato nella città Shiraz per incitamento ai disordini e alle manifestazioni di protesta. Ahmadinejad sarebbe ai domiciliari, con il benestare della guida suprema, ayatollah Ali Khamenei. L’ex presidente sconta alcune dichiarazioni rilasciate durante una visita nella città di Bushehr alla fine di Dicembre, quando avrebbe detto che l’Iran soffre di “cattiva gestione” e che l’attuale presidente Hassan Rohani e il suo governo “si credono i padroni in una società ignorante. Alcuni leader attuali vivono distaccati dai problemi e dalle preoccupazioni della gente, e non sanno nulla della realtà della società”. La televisione di Stato ha riferito alcune dichiarazioni ufficiali secondo cui i disordini sarebbero orchestrati da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita con la complicità dei gruppi “anti-rivoluzionari”.
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Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)