Tempo medio di lettura: 2 minuti
Il 2020 doveva essere l’anno glorioso della Brexit, l’anno della Global Britain, l’anno in cui il Paese guidato dal premier conservatore Boris Johnson avrebbe ritrovato indipendenza economica e politica e sarebbe tornato a essere protagonista di una nuova scena internazionale.
“Dopo decenni di ibernazione, torniamo a essere ancora una volta promotori del libero scambio globale”, si era vantato il primo ministro britannico a Febbraio, dopo aver lasciato l’Unione europea, augurandosi di firmare prima possibile accordi commerciali con l’Unione ma soprattutto con molti altri Paesi, in primis gli Stati Uniti.
Poi è arrivato il Covid. Oggi il Regno Unito è tra i Paesi europei con più vittime in assoluto: una catastrofe determinata dalle esitazioni di BoJo, che ha perso almeno tre settimane fondamentali nel mese di Marzo inseguendo il negazionismo sul Coronavirus e sostenendo inizialmente di voler raggiungere un’impossibile immunità di gregge. Poi, ammalatosi lui stesso, ha accettato la chiusura delle scuole e dei pub come necessità solo l’ultima settimana di Marzo, ma senza procedere subito a un lockdown severo.
Anche il costo in termini economici è stato carissimo poiché, una volta che ci si è finalmente decisi alla chiusura, il lockdown ha dovuto essere più lungo che altrove e con un ritorno alla normalità solo in estate. Il governo è corso ai ripari iniettando denaro nell’economia, ma la seconda ondata – come in tutti gli altri Paesi europei – ha tarpato le ali della ripresa, appesantita dall’incertezza nei negoziati sulla Brexit e sulle relazioni future con l’Unione.
Non solo: a fine anno, già in piena seconda ondata, decine di Paesi hanno bloccato i voli con il Regno Unito in risposta alla diffusione di una nuova variante del virus Sars-Cov-2.
Sulla Brexit e le sue regole le trattative sono andate avanti per mesi, e Johnson si è dimostrato un negoziatore ondivago e poco affidabile mentre l’Unione europea ha mostrato serietà, fermezza e unità. I britannici temono gli effetti perversi del “Brovid”, neologismo che indica la fusione di Brexit e Covid, sulla già provata economia nazionale.
Magro anche il bilancio sui fronti della Global Britain: l’unico trattato di libero scambio firmato nel 2020 è quello con il Giappone, non è stato firmato neppure il tanto agognato accordo con gli Stati Uniti di Donald Trump, che pure a parole era stato un grande sostenitore della Brexit.
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)