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Amati Lettori,
riprendiamo il filo rosso degli eventi dell’ultima settimana. Ci eravamo lasciati con la destituzione del presidente catalano Carles Puigdemont. Prima ancora di poter essere arrestato con i suoi ex ministri per “ribellione” e “sedizione”, Puigdemont è volato in Belgio, specificando però di non trovarsi lì per chiedere asilo politico: “Se mi fosse garantito un processo giusto – ha dichiarato – allora tornerei subito in Catalogna per continuare a lavorare”.
Qualche giorno dopo, tramite social network, Puigdemont ha twittato: “Un mese dal referendum catalano. Malgrado le violenze e le minacce passate e presenti, continuiamo a lavorare. Orgoglio di popolo”. E non è tutto: collegato al suo profilo Twitter è comparso anche l’indirizzo web president.exili.eu, che rimanda verso un sito online dove il leader si presenta come presidente della Catalogna “in esilio”.
Questa situazione ha fatto irritare non poco la Spagna, che – per tutta risposta – ha spiccato un mandato d’arresto europeo contro il destituito presidente catalano. Ma, come se nulla fosse, Puigdemont ha continuato imperterrito sulla sua rotta, pensando addirittura di candidarsi anche dall’estero alle prossime elezioni del 21 Dicembre: “Posso fare campagna da qualunque parte – ha affermato – visto che viviamo in una società globalizzata. La Catalogna deve avere un governo legittimo che sia al riparo dai rischi della giustizia spagnola, che non può garantire niente. C’è bisogno di continuità e le elezioni devono svolgersi nel modo più normale possibile, non è con un governo in prigione che queste elezioni saranno indipendenti, neutrali, normali”.
Tutto ciò ha veramente dell’incredibile: sembra che ci sia uno scollamento totale fra il corso oggettivo degli eventi e la percezione della realtà da parte di chi ne è protagonista. Puigdemont continua a fare riferimento al bene del suo popolo: un popolo che – a ben guardare – risulta quanto mai spaccato fra unionisti e indipendentisti, e – all’interno di questi ultimi – fra gli irriducibili che manifestano in piazza in nome della libertà e coloro i quali si sentono profondamente traditi da un presidente che, alla mal parata, non ha esitato ad abbandonarli per “salvarsi la faccia”.
Quella che si è conclusa è stata anche la settimana dell’attentato di Manhattan, dove – nel pomeriggio americano di Halloween – il 29enne uzbeko Sayullo Saipov ha falciato con un furgoncino le persone che si trovavano sulla pista ciclabile nel Lower West Side, provocando 8 morti e 12 feriti. Nel corso dell’interrogatorio, l’attentatore ha precisato che avrebbe voluto uccidere più persone, e sicuramente l’avrebbe fatto se il mezzo che guidava non si fosse andato a scontrare con un altro, costringendolo ad uscire dall’abitacolo e ad essere bloccato dalla polizia.
Questo terrorista – definito dal presidente statunitense un “animale” che “merita la pena di morte” – era talmente pieno di sé da chiedere persino che la bandiera dell’ISIS fosse appesa nella sua camera d’ospedale. Il sedicente Stato islamico, dal canto suo, ha rivendicato l’attentato definendo Saipov “un soldato del califfato”. Peccato che non abbia fornito prova alcuna che fosse al corrente dell’attacco prima che accadesse o che fosse in qualche modo coinvolto nella pianificazione. Tutte queste dichiarazioni, dunque, altro non sono se non specchietti per allodole.
Un’ultima annotazione, questa volta di carattere finanziario. La Banca d’Inghilterra, per la prima volta dal Luglio 2007, ha deciso di alzare i tassi di interesse dallo 0,25% allo 0,5%. La speranza – stando a quanto riferito dal board – è quella di riuscire a contenere l’inflazione arrivata al 3%, l’1% in più del target, in seguito alla Brexit. E proprio la Brexit sarebbe la principale preoccupazione della Bank of England: nei fatti, il rialzo si è reso necessario per l’aumento dell’inflazione. Tuttavia, la crescita dei prezzi non è stata trainata dalla crescita, bensì dal deprezzamento della sterlina che ancora resta contro il dollaro del 12,5% più debole rispetto ai livelli pre-referendum. Quel 23 Giugno 2016, data del “sì” alla Brexit, l’Europa si svegliava – s’era andata a dormire – sotto shock, mentre oltre metà del popolo inglese si compiaceva narcisisticamente, issando i vessilli di una millantata indipendenza che avrebbe donato al Regno Unito l’antico splendore.
Adesso quello stesso popolo ha a che fare con qualcosa di estremamente ambiguo: l’avvicinarsi dell’uscita effettiva dall’Unione europea attira infatti le preoccupazioni della BoE, che teme una crescita potenziale futura più bassa per l’economia britannica, ovvero una possibile accelerazione dei prezzi con un livello di crescita del PIL inferiore rispetto ad oggi. Gli economisti, che pure avevano previsto questa stretta, temono che l’istituto abbia aumentato il costo del denaro troppo presto, essendo la crescita economica del Regno Unito stabile, ma non esaltante e sulla quale gravano le incertezze relative proprio alla Brexit.
Che cosa insegna, tutto questo?
Estrema cautela soprattutto quando si ha a che fare con scelte che vanno inevitabilmente ad influenzare la vita delle persone con le quali ci relazioniamo e sulle quali le nostre azioni o non-azioni hanno ricadute significative. È difficile ricucire strappi profondi: stiamo attenti prima di andarcene, come nel caso di Puigdemont e del Regno Unito, o prima di perseguire idee folli in nome di qualcosa o qualcuno che ci usa soltanto per avere maggior “prestigio”.
È pericoloso continuare a guardarci allo specchio auto-convincendoci di essere belli, buoni e – soprattutto – giusti. Stiamo attenti a non perdere di vista ciò che conta veramente.
Buona Settimana!
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)