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Amati Lettori,
buongiorno e buon inizio della “Nuova Stagione” insieme! Ben ritrovati, dopo 15 mesi, ai lettori affezionati che mi seguono fin dalle precedenti esperienze editoriali, e ben arrivati a coloro che mi leggono per la prima volta. “Il Senso di Quello che Facciamo” è una rubrica di approfondimento settimanale nella quale cercheremo di trovare e ripercorrere il filo rosso di ciò che succede in Italia e nel Mondo.
Siamo alla fine del mese di Ottobre, è ormai autunno inoltrato anche se – viste le miti temperature – sembra si stia concludendo soltanto or ora l’estate. Sono state indubbiamente settimane “calde” quelle della Catalogna, regione della Spagna che nella giornata di venerdì si è unilateralmente proclamata “Repubblica indipendente e sovrana” e il cui presidente Carles Puigdemont è stato destituito proprio in seguito a tale rivendicazione di autonomia.
Che cos’è successo?
Il 1° Ottobre 2017 si è svolto referendum sull’indipendenza della regione catalana dalla Spagna. Questo referendum è stato promosso dalla Generalitat de Catalunya ed è stato indetto da una legge del Parlamento catalano, secondo cui il voto avrebbe dovuto avere natura vincolante. Tale referendum è stato però contrastato dal governo spagnolo in carica, secondo cui la Costituzione non consentirebbe di votare sull’indipendenza di alcuna regione, e la consultazione sarebbe quindi illegale in quanto incostituzionale.
La giornata elettorale è stata caratterizzata da un braccio di ferro tra il governo centrale, che ha mobilitato le forze di polizia per impedire un voto considerato illegale, e il governo regionale che ha impiegato ogni mezzo per consentire la consultazione. Al termine della giornata, l’affluenza ha raggiunto circa il 43%: il 92,01% dei votanti si è espresso per il Sì, il 7,99% per il No.
Venerdì 27 Ottobre il Parlamento catalano ha quindi approvato a scrutinio segreto la risoluzione che dichiara unilateralmente l’indipendenza dalla Spagna e la costituzione della Repubblica catalana. Immediata e scontata è stata la reazione del governo centrale di Madrid, che ha commissariato le principali cariche istituzionali della Catalogna secondo quanto previsto dall’articolo 155 della Costituzione: destituito il governatore Carles Puigdemont, sciolto il Parlamento e rimosso il capo della polizia catalana “Mossos d’Esquadra”, Josep Luis Trapero. Il prossimo 21 Dicembre si terranno le elezioni anticipate.
Parallelamente, in Italia, è stata approvata in via definitiva una nuova legge elettorale – il cosiddetto “Rosatellum bis” – che prevede un sistema elettorale misto, in cui la distribuzione dei seggi è per il 36% maggioritaria e per il 64% proporzionale. Nel dettaglio, 231 seggi alla Camera e 116 seggi al Senato vengono assegnati attraverso collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui vince il candidato più votato. L’assegnazione dei restanti seggi avviene invece con metodo proporzionale, nell’ambito di collegi plurinominali.
A far notizia, però, nelle medesime ore, sono state piuttosto le dimissioni del presidente del Senato italiano, Pietro Grasso, dal Gruppo del Partito Democratico. Le voci che si sono rincorse dietro questo gesto sono state tante, il diretto interessato ha rilasciato una semplice dichiarazione: “È stata una scelta molto sofferta. Ho ritenuto di lasciare il PD perché non mi riconosco più né nel merito né nel metodo”.
Nelle scorse settimane, Grasso si era impegnato in prima persona per evitare che il governo ponesse la questione di fiducia anche nell’aula di Palazzo Madama, ma così non è avvenuto. Provocato dal senatore dei Cinque Stelle Vito Crimi, il quale gli aveva chiesto di dimettersi per bloccare la riforma, il presidente del Senato ha risposto in maniera ferma e decisa: “Io non ho bisogno di medaglie, ma ho il senso delle istituzioni a espletare le mie funzioni in quest’aula. Le mie decisioni personali sono altra cosa, vado avanti su quello che è il mio compito. Può anche essere più duro resistere e continuare, piuttosto che abbandonare con una fuga vigliacca. Si può esprimere il malessere, ma non è detto che, quando si ha il senso delle istituzioni, si debba obbedire ai propri sentimenti”.
Sono parole che fanno riflettere: quando si appartiene ad un progetto più grande, all’interno del quale si svolge un ruolo ben preciso, si è chiamati a portare a termine la propria missione anche e soprattutto quando questo significa mettere da parte tutto ciò che è “qualcosa di personale”.
Nelle stesse ore, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto al Quirinale alcuni studenti delle scuole secondarie di primo grado, i quali gli hanno posto delle domande sulla sua vita e sul suo lavoro. Molto interessante è stata la risposta del Capo dello Stato circa il comportamento da tenere quando non si condividono i provvedimenti che si devono firmare: la chiave sta proprio nel concetto di “dovere” e nel “rispetto” delle istituzioni.
“Quando mi arriva qualche provvedimento, una legge del Parlamento o un decreto del governo – ha spiegato Mattarella – anche se non lo condivido appieno, ho il dovere di firmarlo, anche se la penso diversamente. Devo accantonare le mie convinzioni personali perché devo rispettare quello che dice la Costituzione: che la scelta delle leggi spetta al Parlamento e la scelta dei decreti che guidano l’amministrazione dello Stato spetta al governo. E se non firmassi andrei contro la Costituzione. Guai se ognuno pensasse che le proprie idee personali prevalgano sulle regole dettate dalla Costituzione. La Repubblica non funzionerebbe più”.
Che cosa trarre come insegnamento per la nostra vita, dai fatti di questa settimana?
L’autonomia è bella, è importante, è sacrosanta. Tuttavia, uno sguardo all’etimologia della parola stessa può essere illuminante: “autonomia” deriva dal greco autos e nomos, ed è dunque la libertà di vivere con le proprie leggi. Ma, fatto curioso, le leggi sono alla base della costituzione di qualsiasi società civile: ecco perché non si può essere autonomi da ciò di cui si fa parte, cui si appartiene.
L’autonomia intesa come rinnegamento e opposizione è una mera illusione, una recita, che quando prova a diventare realtà può nella migliore delle ipotesi paralizzare il sistema di cui si è figli, oppure – nel peggior caso possibile – annientarci e subito rimpiazzarci, com’è successo a Puigdemont.
Non si può far finta di non essersi mai appartenuti. La Catalogna resta una regione della Spagna, Pietro Grasso resta a capo del Senato ed espleta il ruolo ch’è chiamato a svolgere a prescindere dalle convinzioni personali, Sergio Mattarella firma i decreti anche quando non li condivide pienamente. Le esigenze e i sentimenti del singolo non possono prevalere sul bene comune: a volte le regole stanno strette, a volte ci si sente messi con le spalle al muro, ma non si può tirare dritto come se nulla fosse. Pena la disgregazione del buono che c’è.
Non è facile, ma la strada per il filo rosso non passa da uno strappo bensì da una cucitura che tenga insieme i singoli frammenti per creare una nuova via in cui tutto è possibile. Bisogna solo avere la volontà e il coraggio di prendere in mano il proprio cammino senza arroccarsi in punti di non ritorno.
Buona Settimana!
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)